Quando l’ORO cresce sugli alberi e si può “coltivare”
L’Albero degli Zecchini e il Campo dei Miracoli nel paese dei Barbagianni: non sono più una favola!
Chi non si ricorda la favola del burattino e dell’episodio in cui il Gatto e la Volpe lo convincono a seppellire i 5 zecchini d’oro ricevuti da Mangiafuoco per far crescere un albero di monete d’ORO? Uno scultore lo ha anche realizzato nel Parco di Pinocchio a Collodi, vicino a Pescia (PT).
“Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei Miracoli…”
da “Pinocchio” di Carlo Collodi
Gli eucalipti accumulano su corteccia e foglie minuscole particelle del prezioso metallo che estraggono dal terreno. Il clima australiano è molto arido, per cui le radici di alcuni alberi possono arrivare oltre i 40 metri di profondità per cercare l’acqua.
La Natura non finisce mai di stupire! Una ricerca, pubblicata su Nature Communications, è stata realizzata dal gruppo guidato da Melvyn Lintern dell’agenzia scientifica australiana CSIRO Earth Science and Resource Evaluation, trovando la soluzione alla discussione tra gli scienziati divisi tra chi riteneva che le particelle d’oro trovate sulle foglie di eucalipto fossero state trasportate dal vento e chi riteneva che fossero arrivate nella pianta tramite le radici. I ricercatori hanno messo a confronto gli alberi situati in luoghi di estrazione dell’ORO con altri situati progressivamente fino a 800 metri di distanza; inoltre hanno allevato in serra sia alberi con radici affondate in terreni in cui era stato messo dell’ORO che senza.
La scoperta
Le foglie tendono a immagazzinare particelle d’ORO di circa 8 micrometri in media di diametro e la quantità di ORO è correlata alla quantità di metallo nobile presente nel terreno.
Questo fenomeno ha luogo solo quando le piante crescono su terreni attraversati in profondità, anche oltre 30-40 metri, da vene aurifere. Questi alberi ad alto fusto (Eucalyptus marginata) assorbono l’Oro insieme a molti altri elementi nel dragaggio delle acque sotterranee, senza riuscire a filtrarlo a livello radicale. Quando aspirano l’acqua assimilano ORO in forma di ioni idrosolubili e questo entra in modo sistemico nelle piante, le quali, non sapendo che farne, lo accumulano nelle foglie, in particolare nell’organello cellulare che è detto “vacuolo”: immagazzina tutto quello che i vegetali non possono eliminare, non avendo un apparato escretore; una volta assorbito non hanno modo di espellerlo direttamente, ma lo “impacchettano” in sistemi organici stoccandolo in parti fisiologicamente destinate alla morte, come corteccia e foglie.
Anche l’humus formato nel sottobosco dalla biomassa costituita dalle foglie cadute dagli alberi risulta infatti più ricco in ORO rispetto al terreno a pochi metri di profondità, a conferma del fatto che il metallo viene assorbito dall’apparato radicale durante la stagione arida, traslocato attraverso lo xilema (= i condotti della linfa) in forma ionica idrosolubile e depositato nelle foglie in attesa della loro caduta. Piccole quantità si accumulano nelle pareti cellulari e persino nei tessuti specializzati delle foglie e delle cortecce dove, per effetto del mutato pH e per l’elevata concentrazione, in alcuni vacuoli gli ioni precipitano e l’oro cristallizza tornando allo stato solido, riformando nanoscopiche pepite del diametro di 8 nanometri (grandi circa un quinto del diametro di un capello). In questo modo l’ORO occupa molto meno spazio. Gli autori ritengono possibile che l’ORO costituisca una barriera difensiva: in queste piante iperaccumulatrici l’evoluzione ha messo a punto un sistema che permette di avere un doppio vantaggio: stoccare il materiale in organi destinati a essere eliminati dall’organismo e al tempo stesso creare accumuli di cocktail di sostanze indigeste nelle parti di vegetazione in crescita, le più appetibili per i predatori come bruchi, insetti fitofagi e mammiferi erbivori. È allo studio il possibile utilizzo delle scorte aurifere da parte della pianta anche per la difesa da funghi e batteri.
Eucalipti “rabdomanti aurei”
Non si prevedono corse all’ORO verde, né Campi dei Miracoli, almeno con gli eucalipti. La riserva aurea accumulata nelle foglie di E. marginata è minore dello 0,000005% del peso (per la precisione 46 parti per miliardo) e non è quindi tale da essere sfruttabile a scopi commerciali. La “rabdomanzia aurea scientifica” potrebbe piuttosto rappresentare un eccellente sistema per valutare la presenza di ORO in un terreno senza dover ricorrere a priori a trivellazioni e scavi esplorativi.
Un aumentato tasso d’ORO nelle foglie e nel terriccio può indicare una maggiore probabilità di scovare un giacimento d’ORO in profondità
Si dovrebbero abbattere e lavorare 500 alberi adulti di eucalipto per produrre una fede nuziale (sono circa 750 tonnellate di materiale vegetale da trattare, senza considerare gli anni necessari agli alberi stessi per produrre una simile biomassa). C’è da notare, però, che gli eucalipti lavorano con grande precisione: basta spostarsi di 200 metri soltanto dalle piante che crescono su una vena aurifera per trovare individui che contengono ORO in quantità non più significative. Questo fenomeno può rivelarsi direttamente utile per la possibilità di ricavare nanoparticelle d’ORO già pronte da usare in campo farmaceutico e nelle industrie dei sensori, dell’elettronica e della sintesi chimica senza bisogno di produrle artificialmente.
La tecnologia per produrre l’ORO colloidale Living Source non provoca danni all’ambiente!
Questa scoperta aiuterà forse i cercatori d’ORO e i biotecnologi, ma resta da valutare attentamente l’impatto ecologico che lo sfruttamento delle “coltivazioni” d’ORO dai vegetali comporterebbe, con possibili danni all’ambiente che invece le moderne tecnologie per la produzione di ORO COLLOIDALE non producono assolutamente.
Piante “filosofali”, che trasformano le foglie in oro
È noto da tempo che un comportamento analogo a quello dell’eucalipto si può riscontrare in alcune conifere, inoltre una pianta del deserto messicano (Chilopsis linearis), diverse Brassicacee come il ravanello (Raphanus sativus) o la senape indiana (Brassica juncea) e persino il girasole (Helianthus annuus) riescono ad assorbire fino a 20-40 mg di ORO per kg di biomassa disidratata. Occorre seminare le piante su un suolo superficialmente ricco di ORO e occorre un “concime” sotto forma di cianuri e cianati aggiunti al suolo per solubilizzare il metallo (in quantità molto inferiori a quelle usate nelle estrazioni convenzionali), ma si potrebbe raggiungere la sostenibilità economica. Secondo alcune prove di campo, un terriccio scartato dalla lavorazione estrattiva convenzionale, se non completamente esausto, potrebbe garantire circa 450 g di ORO per ettaro.
Bibliografia
Bruni, R: Erba volant: Imparare l’innovazione dalle piante, Codice Edizioni 2015.
Lintern M., Anand R., Ryan, C., Paterson D. (2013): Natural gold particles in Eucalyptus leaves and their relevance to exploration for buried gold deposits, Nature Communications, 4 DOI: 10.1038/ncomms3614.
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